Marco Santagata (28 de abril de 1947 – 9 de noviembre de 2020) fue un académico y escritor italiano. Estudió literatura clásica en la Universidad de Pisa y se graduó en 1970 en la Escuela Normal Superior de Pisa. Comenzó su carrera como profesor de literatura en la Universidad Ca ‘Foscari de Venecia y luego regresó a la Universidad de Pisa en 1984, donde enseñó filología, literatura y lingüística. Santagata fue reconocido como uno de los principales expertos italianos en la vida de Dante Alighieri y Petrarca, así como en la literatura del siglo XIX en Italia, especialmente en Giacomo Leopardi. Marco Santagata falleció el 9 de noviembre de 2020 a los setenta y tres años debido al COVID-19.
Seducción en la iglesia
Dante relata que el envío anónimo a varios «famosos trovadores de esa época» del soneto A ciascun’alma presa e gentil core, junto con la solicitud de descifrar el sueño narrado en él, marcó su entrada pública en la sociedad literaria florentina. También afirma que en ese momento, en 1283, nadie entendió que el sueño anunciaba la muerte de Beatrice, que ocurriría en 1290: «La verdadera interpretación del mencionado sueño no fue vista entonces por nadie, pero ahora es muy evidente para los más simples». Mientras que la primera afirmación podría ser verdadera, la segunda es falsa. En realidad, nada conecta el soneto con Beatrice. Dante establece esa conexión porque tiene la firme intención de situar toda su poesía de amor bajo el nombre de esa inspiradora. Sin embargo, esto no es fácil de llevar a cabo.
«La Vita Nova» es, de hecho, un libro autobiográfico, pero gran parte de esta autobiografía es ficticia, lo que significa que en casi cada página, el autor debía enfrentar problemas de credibilidad. Dante es consciente de que su público florentino, a pesar de que el relato evita cualquier referencia realista, no tendría dificultades en reconocer la veracidad de algunos episodios y en desenmascarar la inverosimilitud de otros. Para sortear este control social y, al mismo tiempo, preservar la credibilidad de la autobiografía, Dante adopta una estrategia doble: por un lado, se asegura de no involucrar a su personaje en situaciones o episodios que contradigan abiertamente su biografía real, y por otro lado, cuando puede, llena la historia ficticia con detalles verídicos que la respalden. Sin embargo, a veces, estos dos recursos no son suficientes, especialmente para demostrar la unicidad de su amor y que Beatrice fue la única destinataria de su poesía.
Una de las tácticas que Dante utiliza es el episodio de la primera mujer «pantalla». Dado que su aspecto físico delataba a cualquiera que estaba presa de una pasión amorosa, de la cual muchos trataban de descubrir el objeto, Dante decidió simular amor por otra mujer y dar a conocer este sentimiento a través de una serie de poemas: la mujer elegida para este propósito se convirtió en la «pantalla de la verdad». Muchos estudiosos afirman que simular un amor para ocultar otro era una práctica común en la poesía vulgar de la Edad Media. Dante escribe que para esta mujer escribió «algunas cositas en verso» y que estuvo oculto con ella «algunos años y meses». Con esto, confirma que sus poemas de amor dedicados a ella circulaban por Florencia y que esa relación duró mucho tiempo: años, no meses. Se deduce que incluso después de 1283, fecha del saludo, en realidad no existió una producción poética dedicada a Beatrice.
Sin embargo, cabe señalar que es prácticamente imposible comprender cuáles eran las verdaderas implicaciones sentimentales de las aventuras amorosas celebradas por los líricos medievales. A veces, podemos identificar referencias a datos de la realidad, pero casi nunca logramos penetrar en la psicología de los poetas enamorados y describir sus dinámicas internas. Dante parece abrir una pequeña ventana en esa dirección con una frase: «casi atónito por la bella defensa que me había abandonado, me apené mucho más de lo que yo mismo habría creído anteriormente». Esto sugiere que «ese falso amor tenía cierta consistencia»; en resumen, a pesar de instrumentalizarlo para la historia de Beatrice, Dante no puede eliminar por completo su realidad histórica.
Seduzione in chiesa
Dante scrive che l’invio anonimo a molti «famosi trovatori in quel tempo» del sonetto A ciascun’alma presa e gentil core, con la richiesta di decrittazione del sogno in esso raccontato, segnò il suo ingresso pubblico nella società letteraria fiorentina. Scrive pure che allora, nel 1283, nessuno aveva compreso che il sogno preannunciava la morte di Beatrice, che sarebbe avvenuta nel 1290: «Lo verace iudizio del detto sogno non fu veduto allora per alcuno, ma ora è manifestissimo alli più semplici».36 Mentre la prima affermazione può essere veritiera, la seconda è falsa. Niente, infatti, collega il sonetto a Beatrice. Dante instaura quel collegamento perché intende fermamente collocare tutta la sua poesia d’amore sotto il nome di quella ispiratrice. Un proposito, questo, non facile da mettere in pratica. La Vita Nova, infatti, è sì un libro autobiografico, ma di un autobiografismo in gran parte fittizio, e perciò quasi in ogni sua pagina l’autore doveva affrontare problemi di credibilità. Ora, a un pubblico lontano nello spazio e nel tempo il racconto non rischierebbe di risultare falso. Ma il fatto è che Dante, in questo suo primo libro e poi sempre nei successivi, tiene davanti agli occhi il pubblico a lui vicino e quindi sa bene che, sebbene il racconto eviti ogni riferimento realistico, al punto da non registrare alcun nome di persona o di luogo, i suoi lettori fiorentini non avrebbero avuto difficoltà a riconoscere la veridicità di alcuni episodi e a smascherare l’inverosimiglianza di altri. Anche perché, non si dimentichi, molti dei personaggi attivi nella storia, come Guido Cavalcanti e Manetto Portinari, fratello di Beatrice, vivi e vegeti alla pubblicazione del libro, avrebbero potuto testimoniare su quanto esso raccontava.
Per aggirare quello che potremmo chiamare una sorta di controllo sociale e, nello stesso tempo, preservare la credibilità dell’autobiografia Dante adotta una duplice strategia: da un lato, ha cura di non coinvolgere il suo personaggio in situazioni ed episodi che contrastino palesemente con la propria biografia reale, dall’altro, appena può infarcisce la storia fittizia di particolari veritieri che la corroborino. A volte, però, i due espedienti non bastano, in particolare non bastano a dimostrare la tesi dell’unicità del suo amore e di Beatrice come esclusiva destinataria della sua poesia. A Firenze era ben noto che egli aveva scritto poesie amorose per molte altre donne, anche negli anni in cui nel libro si professa fedele solo a Beatrice. E allora ricorre a una narrazione basata su un principio che potremmo chiamare della doppia verità: alla verità che appare all’esterno corrisponde una verità nascosta nota solamente al Dante personaggio e autore. In alcuni casi la verità apparente è fittizia al pari di quella nascosta, in altri, invece, adombra un fondamento reale.37
A quest’ultima categoria appartiene l’episodio della prima donna «schermo». Siccome l’aspetto fisico emaciato rivelava a chiunque che lui era preda di una passione amorosa, di cui molti cercavano di scoprire l’oggetto, per tenerlo celato e preservarne l’onorabilità Dante decise di simulare amore per un’altra donna e di rendere noto questo suo sentimento con una serie di poesie: la donna prescelta a questo scopo divenne così «schermo della veritade».38 Molti studiosi affermano che simulare un amore per nasconderne uno vero era prassi diffusa nella poesia volgare del Medioevo: in effetti, è vero che il celar era uno degli obblighi fondamentali del corteggiamento così come era raccontato in poesia, ma ciò riconosciuto, a me non risultano invenzioni paragonabili a quella dantesca delle donne «schermo». Donne, perché, come è noto, a questa prima ne subentrerà una seconda. Al di là della giustificazione che ne dà Dante, questi amori simulati, o per lo meno il primo, sembrano proprio finalizzati a introdurre nel racconto elementi di vissuto, rifunzionalizzandoli alle esigenze della narrazione. Dante scrive che per quella donna fece «certe cosette per rima» e che con essa si celò «alquanti anni e mesi».39 Con ciò attesta che sue poesie d’amore a lei dedicate circolavano per Firenze e che quel rapporto durò a lungo: anni, non mesi. Ne deduciamo che anche dopo il 1283 del saluto, e per parecchio tempo, in realtà non è esistita una sua produzione poetica per Beatrice.
Ho usato la parola rapporto ben sapendo, però, che è pressoché impossibile cogliere quali fossero le vere implicazioni sentimentali delle vicende amorose celebrate dai lirici medievali. Se a volte possiamo individuare qualche riferimento a dati di realtà, quasi mai riusciamo a penetrare nella psicologia dei poeti-innamorati e descriverne le dinamiche interiori. Bisognerà aspettare Petrarca perché il poeta lirico scandagli le profondità dell’io. Eppure, una frase di Dante sembra qui aprire uno spiraglio in quella direzione.
Parecchio tempo dopo il primo incontro la donna «schermo» deve lasciare Firenze per un’altra città molto lontana: possiamo forse dedurne che, come tutte o quasi le dame cantate dai poeti medievali, lei pure fosse sposata e quindi costretta a seguire il marito. Di questa separazione forzata – scrive Dante –, «quasi sbigottito della bella difesa che m’era venuta meno, assai me ne disconfortai più che io medesimo non avrei creduto dinanzi».40 È come se ammettesse che «quel finto amore aveva una qualche consistenza»; insomma, «pur strumentalizzandolo ai fini della storia di Beatrice, Dante non può sopprimere del tutto la sua storica realtà».41 Storica realtà sicuramente nota agli amici di Firenze, i quali, oltre al nome della dama in questione, dovevano anche sapere della sua dipartita dalla città. Nel sonetto (doppio o rinterzato) O voi che per la via d’Amor passate Dante lamenta la separazione da una donna amata, che potrebbe anche non essere quella del racconto, ma che è presentata come se lo fosse.
Extraído de Marco Santagata. Il poeta innamorato. Su Dante, Petrarca e la poesia amorosa medievale. Ugo Guanda Editore. 2017.